Cyber China
Autore: Qiu Xiaolong
Editore: Marsilio
"Armonia e integrità: stando ai media ufficiali, il modello cinese è un
successo. Ma su internet, la rabbia dei cittadini si scatena. Zhou, un
funzionario della municipalità di Shanghai, è il bersaglio perfetto per questo
nuovo genere di caccia alla corruzione. Una sua foto con in mano un pacchetto
di sigarette di lusso infiamma la rete. Due settimane più tardi, viene trovato
impiccato. È stato davvero un suicidio? Sotto l'occhio vigile delle autorità di
Partito, preoccupate di quel formidabile movimento che agita la rete,
l'ispettore capo Chen, assistito da Lianping, giovane e affascinante
giornalista, indaga sul mondo dei blog clandestini, dove la censura rossa si
rivela impotente. Smarrito tra i nuovi grattacieli che spuntano come germogli
di bambù in una città schiacciata da una corruzione e un'ingiustizia sempre più
sfacciate, Chen assiste alla trasformazione del suo Paese in un'enorme
ragnatela di relazioni onnipresenti, dove ogni filo è collegato da interessi
comuni, intrighi e segreti condivisi. E dove anche a un ispettore capo di
polizia viene richiesto di fare il proprio lavoro coscienziosamente, purché non
intralci il quadro più ampio."
Nell’ottavo dei romanzi di Qiu Xiaolong
dedicati all’ispettore capo Chen Cao, pubblicato in Italia con il titolo “Cyber
China”, il protagonista sembra giunto ad un svolta. Potrebbe essere trasferito
a Pechino e “promosso”, per essere distolto da un’indagine particolarmente
“speciale”. Ironia vuole che la ragione per cui gli è stata affidata, la sua
reputazione di funzionario integerrimo, è anche il motivo per cui potrebbe
essergli strappata. Qui possono venirci in mente certi nostri giudici
coraggiosi e tenaci, prima esaltati e poi abbandonati, una volta rivelatisi troppo
efficaci. Per Chen l’eventualità di smettere di essere un poliziotto sarebbe
devastante. La carriera che gli è stata imposta da una struttura statale miope,
per sfruttare la sua istruzione e la sua conoscenza dell’inglese, è diventata
parte integrante della sua personalità, la solida struttura che sostiene e lega
alla terra il suo spirito fin troppo evanescente. Il corpo estraneo inserito
nella carne molle si è trasformato in perla. Separare Chen da quel nucleo
prezioso, ottenuto con grande fatica e determinazione, potrebbe lacerarlo
profondamente.
E’ fonte di turbamento e di riflessione
constatare che, in qualunque parte del mondo, le persone dotate di una
sensibilità etica sono in continuo conflitto, con sé stesse e con le
istituzioni, soprattutto quando ne fanno parte. L’onestà non è un monumento al
centro di una piazza, immobile e granitico. E’ un fiume che scorre, a volte più
lento, a volte più rapido. Le scelte fatte, le altre anime incontrate vi
confluiscono e lo alimentano, come ruscelli montani. Veniamo tentati in mille
modi diversi ed è difficile mantenere la rotta, intravvedere i gorghi. L’azione
considerata innocua o addirittura generosa, può rivelarsi un errore, qualcosa
che ci allontana dal percorso tracciato. Un proverbio cinese dice che non si può
attraversare lo stesso fiume: l’acqua scorre e il fiume cambia, continuamente.
Nei romanzi di Qiu Xiaolong si avverte questo
conflitto, che aumenta con il progredire della carriera di Chen Cao.
Personaggio malinconico e tormentato, da bravo poliziotto non può fare a meno
di conoscere, di arrivare al nocciolo degli eventi di cui è testimone. Ma il
soggetto principale delle sue indagini è, soprattutto, sé stesso. L’essere
poeta e quindi creatura addestrata alla percezione della bellezza e dell’armonia,
aggiunge uno strumento di comprensione, ma anche di tortura, alla sua
intelligenza. La sensibilità, l’empatia particolarmente intense, perché
rafforzate dall’animo di poeta, sono le armi vincenti di quest’uomo solitario,
ma sono anche ciò che lo rende vulnerabile e che spesso lo allontana da
possibili spiriti affini. La tentazione di rifugiarsi nei brevi attimi di
appagamento raggiunti nell’ammirazione della natura e della bellezza è in lui
fortissima ma sempre combattuta, in nome di un astratto ideale di dovere che
però, proiettato nella quotidianità, diventa incredibilmente concreto.
Ci sono cose che un uomo farà e cose che un
uomo non farà.
E’ il detto che il padre dell’ispettore, neoconfuciano, ripete spesso, forse
anche a sé stesso, durante i terribili eventi della Rivoluzione Culturale.
Anche se perduto molto presto, questo padre filosofo è una continua fonte di
ispirazione per Chen, il nume tutelare a cui spesso si rivolge, anche
inconsciamente quando ne ripete i motti preferiti, nei momenti di incertezza.
Nel momento di massima tensione, con l’indagine che si intuisce conclusa con
esiti sconvolgenti, l’uomo delle istituzioni, leale al Partito, soppesa e
decide di Fare. Di mettere fine, in qualche modo, alla logica del mantenimento
dello status quo, chiamato Armonia dagli apparati di stato, con
inconscia autoironia.
Il punto focale non è la conclusione del caso,
di cui non si parla, ma la decisione, l’ennesimo flusso che va
ad alimentare il fiume e gli permette di non inaridirsi.
Chen Cao, cinese di Shangai, può essere
qualunque uomo, di qualunque nazione, che cerca di fare ciò che è giusto per sé
e per la società, di far scorrere il fiume dell’onestà in un flusso costante,
mantenendo gli argini intatti, facendo scelte difficili e a volte apparentemente
contraddittorie, come la corrente che risale il fiume sotto la spinta delle
maree.